La direttrice didattica di una scuola elementare aveva chiamato ad una supplenza temporanea una insegnante, nonostante un'altra, che la precedeva in graduatoria, avesse vinto il ricorso gerarchico nonché accettato con telegramma l'incarico e si fosse presentata il giorno successivo per prendere servizio. Con tale condotta giuridicamente rilevante, la direttrice, come confermato dalla corte di Cassazione sezione sesta penale con sentenza n. 32933/2001, commetteva il reato di abuso d'ufficio, previsto all'art. 323 del codice penale secondo cui 'è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni, in violazione di norme o regolamento, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto'. Non sussiste, infatti, nel caso in specie, la 'mancata assunzione del servizio senza giustificato motivo', presupposto previsto ex legge per la decadenza dalla supplenza, in quanto l'insegnante si era presentata al fine di prendere servizio il giorno successivo al preavviso. Inoltre, l'elemento psicologico richiesto per la configurazione del reato, il dolo (della direttrice), era in equivoco poiché la stessa direttrice aveva inviato la comunicazione dell'accoglimento del ricorso gerarchico nel recapito di un'altra città, pur essendo perfettamente a conoscenza che quest'ultimo non coincidesse con la residenza dell'aspirante supplente. La mancata attribuzione della supplenza temporanea e la successiva retrocessione in graduatoria, nonché gli effetti economici negativi, costituiscono, quindi, elementi cagionanti il cosiddetto 'danno ingiusto'. Va aggiunto che la pena può essere aumentata o diminuita (artt. 323 u.c. e 323 bis c.p.) a seconda che il vantaggio o il danno rivesta carattere di rilevante gravità o, viceversa, di particolare tenuità.