Un uomo, per vendicarsi di una signora che lo aveva respinto, aveva scritto sui muri di un quartiere, con uno spray, frasi offensive ed oscene nei riguardi della donna ed aveva distribuito, in luoghi pubblici, diversi volantini realizzati con fotomontaggi di materiale pornografico, con indicazioni tali da rappresentare la stessa disponibile ad incontri erotici.
Tale condotta, come confermato dalla corte di Cassazione quinta sezione penale con sentenza n. 6485/99, configura il delitto di diffamazione aggravata, commessa, cioè, con il mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, come previsto all'art. 595 co. 3 del codice penale. Non è rilevante il mancato (o impossibile) accertamento del numero dei volantini diffusi ovvero quanti ne prendano conoscenza così come il modo e la durata della diffusione.
La norma incriminatrice, infatti, che presuppone l'offesa dell'altrui reputazione attraverso la comunicazione con più persone, si perfeziona nel momento in cui lo scritto esce dalla sfera di disponibilità dell'autore, divenendo accessibile ad un numero indeterminato di soggetti e non già nel momento successivo della effettiva diffusione. Sostanzialmente, quindi, gli scritti murali ed i volantini lasciati in luogo pubblico rientrano nella fattispecie diffamatoria in quanto destinati ad un numero imprecisabile di persone.
Il delitto, posto a tutela dell'onore, è punibile a querela della persona offesa, come, peraltro, stabilito agli artt. 597, 120 e 58 bis c.p., con la reclusione da sei mesi a tre anni o con la multa non inferiore a lire un milione (ora ovviamente in euro). Inoltre, per effetto degli artt. 11 e 12 della legge 8 febbraio 1948 n. 47, scaturisce la responsabilità civile dell'eventuale proprietario della pubblicazione e dell'editore, in solido con gli autori del reato e fra di loro, nonché la facoltà, per la persona offesa, di chiedere, oltre il risarcimento dei danni ai sensi dell'art. 185 c.p., una somma a titolo di riparazione, determinata in relazione alla gravità dell'offesa ed alla diffusione dello stampato.
Generalmente, la prova liberatoria non è ammessa. Tuttavia, quando l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la prova della verità è sempre ammessa nel procedimento penale: a) se la persona offesa è un pubblico ufficiale ed il fatto attribuito si riferisce all'esercizio delle sue funzioni; b) se per il fatto attribuito alla persona offesa è tuttora aperto o si inizia contro di essa un procedimento penale; c) se il querelante domanda formalmente che il giudizio si estenda ad accertare la verità o la falsità del fatto ad esso attribuito. Inoltre, se la verità del fatto è provata o se la persona, a cui il fatto è attribuito, è per esso condannata dopo l'attribuzione del fatto medesimo, l'autore dell'imputazione non è punibile, salvo che i modi usati non rendano per se stessi applicabili le disposizioni dell`art. 594, comma 1°, ovvero dell`art. 595, comma 1° (art. 596 co. 3 e 4 c.p.).