Un uomo, avendo collaborato per dieci anni nel negozio della madre, ha chiesto a quest'ultima una somma pari a 270 milioni di lire di stipendio arretrato. Il ricorso è stato respinto dalla corte di Cassazione sezione Lavoro con sentenza n. 8330/2000. Le motivazioni? E' stato accertato che non sussistevano gli obblighi di orario previsti all'art. 2107 del codice civile e 36 della Costituzione, né i poteri direttivi e disciplinari stabiliti dagli artt. 2086, 2094 e 2104 sempre del codice civile, ed, inoltre, la prestazione era caratterizzata da 'saltuarietà frammentaria ed episodica'.
Tale ultimo aspetto costituisce, di per sé, negazione della subordinazione. Ai fini della collaborazione prevista dall'art. 2094 c.c., infatti, è da ritenersi decisiva la 'continuità', intesa quale disponibilità nel tempo verso il datore, nella quale si ravvisa l'attuazione del vincolo della subordinazione. Essa si concretizza sostanzialmente nella disponibilità funzionale del prestatore all'impresa altrui in modo tale da inserire la relativa prestazione nell'organizzazione aziendale.
Va ricordato, inoltre, che la retribuzione è commisurata alla quantità e qualità della prestazione ovvero al tempo impiegato ed alle mansioni: venendo a mancare l'orario di lavoro, non è possibile determinare la prestazione dovuta. Sostanzialmente, nell'ipotesi di prestazioni lavorative saltuarie ed occasionali rese da un soggetto inserito stabilmente come convivente in una comunità familiare a favore di un componente del nucleo familiare opera una presunzione di gratuità, rafforzata dal vincolo della convivenza e dalla comprovata carenza di subordinazione.