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20/3/2002

LO SCHIAFFO AL COLLEGA NON PUO’ ESSERE CAUSA DI LICENZIAMENTO
La questione dell’esercizio del potere disciplinare
di Alessandro Basso
Un lavoratore, a conclusione di un'animata discussione, colpisce con uno schiaffo un collega. Per questo, è stato licenziato dalla società datrice per la violazione degli artt. 151 e 131 del contratto collettivo nazionale di lavoro del Commercio. Il Tribunale di Roma, sezione Lavoro, con sentenza del 5 aprile 2001, pur riconoscendo l'anormalità del comportamento del lavoratore, estraneo a quelle minime regole civili auspicabili tra prestatori operanti nella stessa azienda, ha tuttavia ritenuto il licenziamento sproporzionato rispetto alla reale gravità dell'addebito.
Il giudice di merito ha, quindi, ritenuto che il fatto non fosse oggettivamente e soggettivamente idoneo a ledere, in modo grave, cosi da farla venir meno, la fiducia che il datore ripone nel proprio dipendente. Le motivazioni? Fatto isolato e ragionevolmente destinato a non ripetersi, seppure si erano già verificate in azienda discussioni stante la mancanza di un responsabile addetto al coordinamento ed alla vigilanza sull'ordine interno ed, inoltre, l'attività degli altri dipendenti accorsi si era interrotta per non più di dieci minuti.
Sostanzialmente, quindi, l'esercizio del potere disciplinare del datore deve rispettare il principio della congruità della sanzione inflitta all'infrazione e/o inadempimento. Va aggiunto che, per effetto dell'art. 7 co. 2 della legge n. 300/1970, il licenziamento disciplinare deve essere sempre preceduto, a pena di nullità, dalla contestazione degli addebiti, con un termine per le difese, scritte ed orali, dell'incolpato. Quindi, ai lavoratori licenziati in violazione dei criteri di legge, si applica la tutela 'reintegratoria' prevista ex art. 18 dello Statuto dei lavoratori.

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