Scordatevi il sexy ne 'Il postino suona sempre due volte', il diabolico in 'Shining' e ne 'Le streghe di Eastwick' o il ribelle in 'Easy Ryder': Jack Nicholson in questo film è tutto pancia, rughe e rassegnazione. Rassegnazione per la sua nuova vita da neo-pensionato (non serve più in azienda, ora ci sono i giovani), per la sua insoddisfatta vita coniugale con l'odiata-amata moglie e per la sua improvvisa condizione di vedovo ed infine per le nozze dell'adorata unica figlia con un 'imbecille'.
Unico svago: scrivere al piccolo della Tanzania, adottato a distanza, lettere in cui il signor Schmidt si sfoga e narra tutto ciò che lo riguarda, in modo spesso non proprio adatto a un bambino di sei anni. Ma anche viaggiare con il proprio camper, dapprima con l'idea di andare a trovare la figlia, poi occasione per visitare i luoghi della sua giovinezza.
Alla fine, anche se non riuscirà a convincere la figlia a non sposarsi e quindi a non imparentarsi con una famiglia piuttosto strana, Schmidt riceverà una sorpresa che, forse, darà un senso a tutta la sua vita.
Jack Nicholson incarna alla perfezione un uomo americano di 66 anni (proprio come la sua vera età), con tutti i suoi tic e i modi di fare che gli potranno far valere il suo quarto Oscar.
Sembrano lontani i tempi in cui, famoso play-boy nello star-system di Hollywood, ha interpretato ruoli da affascinante e tenebroso. Qui invece nell'unica scena di avance che lui tenta, viene addirittura trattato in malomodo!
Il regista e sceneggiatore Adrian Pyne è stato geniale nel costruire questa storia, fatta su misura per Jack Nicholson. La sua regia, poi, è elegante e sapiente soprattutto nel mettere in rilievo certi particolari e sempre in primo piano le espressioni del protagonista, uniche e inimitabili, come l'interprete.