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10/12/2003

E-MAIL A PAGAMENTO: È LA FINE DI INTERNET GRATIS?
È giuridicamente lecita l'ultima manovra di uno tra i più diffusi gestori di posta elettronica?
Lo scorso 1° novembre è stato dato un pesante scossone a quella che fino a poco tempo fa era ritenuta la caratteristica fondamentale di Internet, e che a conti fatti rendeva la rete così appetibile e diffusa: il suo carattere gratuito.
Scelte affrettate, a volte selvagge, effettuate dagli operatori mondiali di servizi online; il flop, a conti fatti, della new economy; costi di gestione diventati enormi per le aziende del settore, stanno rapidamente portando ad un dietro-front nel modo di concepire il web. Sembra ormai certo l'abbandono della free-philosophy.
L'ultimo colpo al sistema, per gli utenti italiani, è stato dato, appunto, il primo novembre scorso, con la diffusione di una E-mail della nota società di servizi Libero.
Da quella data, infatti, è divenuta operativa la nuova policy dell'azienda che impedirà ai più comuni software di posta utilizzati dagli utenti sui propri computer (come Outlook, Eudora, Agent, ecc.) l'accesso alla propria casella di posta elettronica.
Con un'unica eccezione: se ci si connette ad Internet tramite i servizi di Libero.
In quel caso non cambia nulla per l'utente, che comunque, indipendentemente dalla connessione tramite Libero, potrà sempre gestire il proprio account di posta dal web connettendosi al portale dell'azienda, proprio come accade per una qualsiasi altra webmail gratuita (es. Hotmail, Yahoo, ecc., solo per citare le più note).
Il cambiamento coinvolge tutti i domini di posta collegati alla società madre: Libero.it, Inwind.it, Iol.it, Blu.it.
Una manovra effettuata in funzione dell'attivazione di due nuovi servizi a pagamento, che di fatto sostituiscono quelli gratuiti finora distribuiti, in quanto consentono l'accesso alla posta di Libero anche se ci si connette ad Internet con un altro provider.
Si tratta di MailL e MailXL, servizi da 1,25 e 2,50 Euro al mese rispettivamente, che si differenziano per la quantità di spazio a disposizione nella casella. Spazio che, a detta di Libero, sarà protetto contro virus e spam, ossia la pubblicità indesiderata.
Inoltre, per ogni abbonato ai nuovi servizi, la società Wind donerà un Euro all'UNICEF per la costruzione di una scuola in Congo.
La manovra ha causato sgomento e rabbia nei consumatori, nella stragrande maggioranza dei casi assolutamente non disposti a pagare per un servizio gratis fino ad ieri, per tutti i disagi che la novità ha causato. Basti pensare a chi, per lavoro o altro, si trovi a leggere le proprie E-mail in luoghi diversi dalla propria abitazione, ipotizzando che non tutti i luoghi in questione usufruiscano dei servizi di Libero e che l'utente non possa decidere in prima persona a quale provider allacciarsi in rete.
Molte associazioni dei consumatori sono già insorte contro la manovra, minacciando anche azioni legali.
Da un punto di vista giuridico, la scelta di Libero è lecita, oppure si tratta di un'azione del tutto illegittima? È perfettamente lecito che i responsabili di un'azienda di servizi possano liberamente decidere che servizio offrire ed a quali condizioni.
Però, una volta stipulato un contratto con il cliente, non possono unilateralmente recedere da esso e dunque dalle condizioni alle quali si sono volontariamente impegnati.
Non sarebbe possibile nemmeno se tale facoltà fosse espressamente prevista in una clausola (modificazione unilaterale delle condizioni contrattuali) dato che il contratto che ciascun utente può firmare con Libero o qualsivoglia altra azienda di servizi di questo tipo è un contratto di massa, redatto su formulari-tipo, per il quale vigono ben precise regole di tutela del consumatore (art. 25 l. 06-02-1996, n. 52, che ha introdotto il Capo XIV-bis ('Dei contratti del consumatore') del Titolo II del Libro Quarto del Codice Civile).
L'art. 1469-bis c.c. ('Clausole vessatorie nel contratto tra professionista e consumatore') prevede infatti che alcune clausole 'si presumono vessatorie fino a prova contraria': tra queste troviamo, al n. 11, quelle che hanno per effetto di 'consentire al professionista di modificare unilateralmente le clausole del contratto, ovvero le caratteristiche del prodotto o del servizio da fornire'.
Tali clausole sono pertanto 'inefficaci' (art. 1469-quinquies, comma 1, c.c.) e tale inefficacia 'opera solo a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d'ufficio dal giudice' (art. 1469-quinquies, comma 3, c.c.) mentre 'il contratto rimane efficace per il resto' (art. 1469-quinquies, comma 1, c.c.).
L'unica possibilità per l'azienda affinché tali clausole non siano ritenute vessatorie sarebbe quella di dimostrare che le stesse 'siano state oggetto di specifica trattativa con il consumatore' (art. 1469-ter, comma 5, c.c.).
Cosa che non è assolutamente avvenuta nel caso specifico di Libero, in quanto non risulta che un delegato dell'azienda abbia preso contatti con ogni singolo utente per discutere sulla modifica dell'oggetto e delle prestazioni contrattuali.
Il principio vale sicuramente anche nel caso di servizio gratuito, come era, fino al primo novembre, la casella E-mail fornita da Libero.
Vale infatti il principio dell'affidamento e della buona fede (artt. 1362 e 1366 c.c.): un contraente si comporta facendo affidamento sulle prestazioni che l'altro contraente ha garantito.
Nel caso in questione è stato stipulato un contratto che, gratuito o meno, come ogni contratto, fa legge tra le parti (art. 1372 c.c.). Ognuna delle parti si è volontariamente impegnata a rispettare le condizioni previste all'interno del contratto.
Trattandosi inoltre di un contratto ad esecuzione continuata, la legge prevede semplicemente che '[...] se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari ed imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto [...]' (art. 1467 c.c.).
Risoluzione del rapporto, e non modifica unilaterale delle condizioni dello stesso.
Alla disposizione di cui al precedente articolo del codice si ricollega la successiva, secondo cui '[...] se si tratta di un contratto nel quale una sola delle parti ha assunto obbligazioni, questa può chiedere una riduzione della sua prestazione ovvero una modificazione delle modalità di esecuzione [...]' (art. 1468 c.c.).
Premesso che il codice civile fa uso del verbo 'chiedere', che presuppone un accordo successivo con l'altro contraente che porti alla modifica o alla risoluzione di quello originario, escludendo assolutamente la possibilità di modifica unilaterale del contratto stesso, allo stato dei fatti, non risulta che si siano verificati, come prevede l'art. 1467 già citato, 'avvenimenti straordinari ed imprevedibili'. Né tali possono essere considerati la crisi economica del settore o eventuali scelte imprenditoriali risultate negative, come anche, a puro titolo di esempio, l'incapacità gestionale o il dissesto di bilancio.

Lettera firmata

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