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27/9/2004

‘MAN ON FIRE’
Action movie hollywoodiano dai toni umani
di Pierre Hombrebueno
'La vendetta è un piatto che va servito freddo'. Una frase, un proverbio che abbiamo sentito una miriade di volte nell'ultimo anno cinematografico, sia sotto forma implicita come in 'The Punisher', sia in forma esplicita come nel caso di 'Kill Bill' e questo 'Man on fire' di Tony Scott.
Così al centro della storia gira ancora una volta la parola VENDETTA, l'odio implacabile, la furia cieca che spesso e volentieri si tramuta in massacri a non finire. Protagonista è un uomo che si improvvisa guardia del corpo di una bambina in Sud America, dove si calcola che ogni 60 minuti avviene un sequestro di persona. Il bodyguard improvvisato è un uomo disperso nel cammino della propria vita, non sa da dove proviene e dove vuole arrivare, insomma, non ha un reale motivo per vivere, un qualcosa per cui lottare, ma a cambiarlo sarà la bambina, inizialmente insignificante. 'Sono stato pagato per proteggerti, non per essere tuo amico' diceva il protagonista, che però pian piano comincia ad affezionarsi al 'cliente', tanto da considerarla come una figlia, tanto da essere pronto a darle la propria vita.
Diciamolo subito, 'Man on fire' è innanzitutto un action movie hollywoodiano, con la solita tendenza a rendere tutto drammatico e patriottico, perché come primo obiettivo del regista c'è quello di intrattenere il pubblico, ma al contrario di molti film del filone, Scott dimostra di avere un particolare cuore e cura dell'emotività nella propria opera. Il regista insiste sul cambiamento del protagonista, dapprima freddo come il ghiaccio, quasi disumano, ma che grazie al calore affettivo della bambina impara ad abbandonare l'alcool per dedicarsi a qualcosa di più importante: le persone a cui vuole bene. Lo scambio di parole tra il protettore e la protetta è spesso banale, probabilmente pure poco profondo, ma proprio in questa banale semplicità sta la chiave d'emozione, in queste semplici battute come: 'Ti voglio bene, e tu?'.
Così si conferma ancora una volta la differenza tra Hollywood e il cinema italiano: Hollywood riesce a dare commozione con il semplice uso di una musichetta (che in Man on fire vanta addirittura delle vocalità di una Lisa Gerrard, la stessa ad aver dato gli echi a 'Il Gladiatore') e di semplici battutine, senza dover ricorrere a discorsi d'intellettualismo a tutti i costi.
Un tocco di claustrofobica visione è poi aggiunta dalla tecnica, cominciando dalla fotografia che alterna alla pellicola lucida e classica una pellicola più sporca per sottolineare il caos della metropoli sudamericana, scandendo il tutto con un montaggio dal ritmo temporale poco dilatato, con il risultato di intercambi di frame alla velocità della luce per dare tono agli scatti di velocità euforica. Sicuramente non un ottimo film, ma Man on fire riesce a tenerti vivo nelle sue due ore e passa di visione, il che non è poco.

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