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13/9/2004

ROCCHETTA S. ANTONIO, PARABOLA DI UN SUD ADDENSATO DI NUBI
Passaggio in ombra di una vita che scorre avvolta nel mistero
di Vito Feninno
Benvenuti sulle amene colline daune. Un teatro di vita apparente. Un palcoscenico di vita arcadica. Immersi nel silenzio e nell'immutabilità si trattano cose frivole e inconcludenti. Un ambiente dai colori cinerei nell'attesa dello scoppio. Dell'estrema deflagrazione!
Se un volontario viandante coraggiosamente s'inerpicasse su fino a Rocchetta, e vincerebbe l'invalicabilità dell'ameno contrafforte, assisterà all'esplosione del silenzio. Uno scoppio che non porterà le mani a coprirsi le orecchie ma a stropicciarsi gli occhi.
Gli abitanti dicono che la situazione è ancora sopportabile: l'aria è buona e il paese è tranquillo.
Un paese tempestato da mille contraddizioni, isolato a quota 640 metri sul livello del mare. Ove, per arrampicarsi lungo il tortuoso serpentone bituminoso, corri il rischio di romperti l'osso del collo: devi zigzagare per schivare ad ogni curva buche, interruzioni, smottamenti, frane, rappezzamenti con materiale edile (roba da non crederci, da stropicciarsi gli occhi!). Un paese chiuso. Quasi a voler difendere la sua soporifera intimità.
Misteriosamente incline all'isolamento: da qualche tempo un cartello dissuade gli automobilisti a prendere la strada ex 303 per la Basilicata perché la stessa è sparita. Letteralmente inghiottita dalle frane. Così pure verso la Provincia di Foggia un cartello segnala che la Strada SP 99 è a tratti interrotta a causa delle frane. Una campagna brulla, battuta dal sole agostano che ingiallisce tutto il paesaggio e dove gli uccelli non possono nidificare per mancanza d'alberi, è rimasta terra di nessuno. Un feudo cereagricolo dalle incerte origini ai confini della terra dei lupi: l'Irpinia. Siamo passati da ultimo feudo del Principato d'Ultra ad estrema 'università' dauna. Nessuno ci vuole! Nessuno ci si piglia!
Perché mai la Provincia e la comunità Montana dei monti meridionali dauni dovrebbero, per responsabilità amministrative, investire in un feudo di scarsa produttività e di scarse risorse umane? Per obblighi morali? Ma non prendiamoci in giro. La politica e gli amministratori se ne impipano dell'etica; governano e rispondono al potere economico e al potere delle lobby. I nostri amministratori sono curvi su 'carte' e progetti che fruttano vantaggi personali - come la nuova lobby degli architetti, che ha interessi che insistono su materia di lavori pubblici. Nessuno trova modo e interesse di curvarsi su 'carte' che possono costituire un vero obiettivo di sviluppo in materie sociali ed economiche come i por, i pit, e i pip.
Un paese in cui tutti si dicono di star bene. Ma appena parli le parole affondano nello sconforto: tutti recitano la parte migliore di sé, ma la gioia e il sorriso non appartengono più al loro patrimonio emotivo. Le labbra si stringono in una smorfia di dolore e gli angoli della bocca disegnano sul volto apatia e sopportazione. Rassegnati a non poter mutare la triste realtà approdano culturalmente al paralizzante fatalismo. Rispondono alla brutalità del destino o rifugiandosi nell'indolente inerzia della volontà o appoggiandosi alla supremazia delle forze ultraterrene.
Ma tutto questo male non è piovuto dal cielo. Il nemico è stato ed è ancora in mezzo a noi. È l'oligarchia corrotta e inefficiente che 'regna' colpevolmente banchettando alla faccia del morto. Fanatica del danaro, disgraziatamente tentata a vincere più la battaglia della propria vita privata che la battaglia del bene comune, fondamentale per strappare la comunità di Rocchetta all'isolamento e al declino demografico e culturale.
Il problema è delicatissimo. Non possiamo lasciarlo in mano agli 'sciamani' politici o animatori culturali che continuano ad interrogare le viscere degli animali più che la loro coscienza.
In un paese che si assottiglia, i vivi sono condannati a tirare a campare. Basta guardare le facce degli accampati sui marciapiedi e quelle che siedono sulle panchine o quelle che fanno capolino da ogni spigolo per accorgersi che tutti sono nell'attesa dell'ultimo scoppio, dell'ultima chiamata. Difficile distinguere i giovani dagli anziani: gli anziani restano paralizzati sulle panche indifferenti alla ferocia del tempo che man mano li consuma e fatalisti dinanzi alla ferocia di chi li governa che odiosamente li tengono in ostaggio ingannando la loro vita e il futuro dei loro figli.
I giovani come gli anziani. I giovani sono già anziani. Pensano all'unisono: senza sfumature o coloriture: un pensiero grigio della sostanza di una pece. I giovani sono curvi sul sobrio piatto concesso da chi ne ha voglia a chi ne ha bisogno. Curvi sulla ciotola non alzano la testa. Non perlustrano l'orizzonte. Non si ergono a vedetta. Non segnalano e non indicano obiettivi. Sono curvi come i padri impegnati distrattamente a testimoniare il passaggio in ombra della loro vita che scorre avvolta nel mistero.
Non c'è vita per le strade. Non ci sono segni di mobilitazione. Di protesta, o semplicemente di volontà di cambiamento. La gente di Rocchetta sembra aver più semplicemente accettato l'inevitabilità del destino. Lo scoramento e lo smarrimento che si coglie per le strade è figlio di un senso d'impotenza ormai troppo secolarizzato per poter puntare su un futuro migliore. L'insicurezza del presente e l'incertezza per il futuro non spaventa, non angoscia: ci si convive abulicamente. Mentre si accompagnano le salme alla casa del Signore e le donne si vestono di nero, il paese inquietantemente si ridimensiona a poco più di un ridotto borgo, a causa del tempo che inesorabilmente miete le predestinate vittime. Il numero delle morti, annualmente, supera smisuratamente il numero delle nascite. Compromettendo il futuro. Costituendo una minaccia esplicita alla sua esistenza.
Le cifre sono terribili: l'anno scorso a fronte di 39 morti sono nati appena 7 bambini. Il paese ormai è in mano al necroforo più che all'assessorato dei servizi sociali scolastici e delle attività produttive. Una sfida, quella demografica, che verosimilmente attanaglia i diversi comuni dell'entroterra Dauno meridionale preappenninico. Ma Rocchetta è casa nostra. E il preappennino dauno meridionale è il nostro cortile. Ci devono coinvolgere emotivamente e non lasciarci indifferenti. Non devono continuare a rimanere territori ignoti ma devono suscitare interesse e partecipazione. Bisogna assumere comportamenti virtuosi intrisi di spirito comunitario e camminare tutti insieme, in nome del popolo delle Colline del Carapelle, programmando uno sviluppo socio economico capace di contrastare il dramma dello spopolamento e dell'impoverimento socio culturale.
La classe politica della Comunità Montana dei monti dauni meridionali non può più stare a guardare dalle stanze del 'Palazzo' le processioni di corone, che testimoniano l'approssimarsi della desertificazione demografica di tutta l'area. La classe politica deve avvertire l'obbligatorietà morale di invertire il corso drammatico della storia del proprio territorio. Siamo già a sera inoltrata. Se non inauguriamo la stagione dei fiocchi rosa e dei fiocchi azzurri che tornano a rallegrare i portoni, ci troveremo avvolti dal buio della notte fonda.
Ricordo che, mai come in questo momento, qualsiasi amministratore che non s'impegnasse su questo fronte tradisce colpevolmente il proprio mandato politico affidatogli dal popolo. Occorre guardare oltre le proprie tasche: ma questa è una malattia a cui non è stato trovato ancora nessun antidoto. Nell'oziosa attesa che un Pasteur trovi il vaccino per debellare la malattia, non ci resta, purtroppo, che incrociare le dita e salutare addolorati le prossime tristi corone che accompagnano lacrimose le prossime vite spezzate dalla durezza del tempo.
Riflettere sulle cause politiche e culturali di un territorio - il mio territorio - non è un atteggiamento debole e volto semplicisticamente a denunciare le manifeste ' criticità' ambientali. Ma, al contrario, vuol avere il valore, visti i tempi cupi che stiamo vivendo come comunità, di contribuire a fare chiarezza sui limiti di chi ha responsabilità pubbliche nella speranza di scorgere una via d'uscita.

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