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12/1/2005

EMANUELE ITALIA E IL DOLORE LUMINOSO DEL NULLA
L'addolorata illuminazione dell'esistenza
Per me che sono stato dapprima l'affascinato allievo del suo iperuranico filosofare di monadi lontane al tempo dell'adolescenza gretta di brufoli e desideri, limpida di passioni e sogni, tabula rasa d'infinita...ignoranza avvinta dalla socratica certezza gnoseologica, dalla sua voce allampanata di demiurgo-attore che catturava e colpiva e feriva, perché no, con parole improbabili fino a raschiare l'anima dal corpo come la verità dal caos; per me, dunque, che di quella maieutica mi ritrovo oggi interprete smilzo a osare la parola per disquisirne l'ultima fatica poetica, il suo prezioso canto del cigno abbarbicato al dolore della vita che ci accomuna e 'ci fa fratelli tutti.
Io qui, tu là, inutili da sempre' (inutilità fraterne), proprio come si legge in '...e s'addolora la luce', curato da Carlo Luigi Torelli con 'All'insegna del cinghiale ferito', per me, dicevo, è abbagliante sorpresa, dolorosa meraviglia di luce, oro colato di parole.
E proprio partendo dall'ossimoro vitalistico del titolo attraverso la certezza tragicomica del vivere 'l'incredibile disastro / che tutto è uguale, tutto è fisso, tutto / semplicemente è' (L'incredibile disastro), si introduce la poesia di Emanuele Italia, solitaria ed euristica di nuova vita, di luce fatale. Ecco che allora può sorgere perfino il dubbio che 'per vie traverse, dissonando, a questo / sentiero stretto dove ogni alba nuova / non so se sia miracolo o sventura' (Assenza), la vita è qualcosa d'altro che s'annuncia. Miracolo o sventura? Certamente poesia che disvela accecando con meraviglia, vita e luce sulle palpitanti esistenze di ogni cosa: meraviglia dolente.
Abbiamo quindi individuato, a mio avviso, il leit-motiv che pervade quest'opera e meglio, che in altre sue precedenti, rischiara la corolla di queste poesie in modo fulminante ed immediato: la luce. Ma, per spandersi, essa deve necessariamente confrontarsi col dolore in lei stessa insito: l'accecante bagliore di chi guarda il sole, il suo giallo-fuoco acceso, i suoi raggi lancinanti che feriscono, addolorano ogni cosa e, per finire, esplodono in un caleidoscopio di immagini sublimi.
Non trascurabile, in effetti, è l'abilità stilistica, incentrata sull'uso frequente delle figure retoriche, fra le quali spiccano l'ossimoro, la metafora, la sinestesia e la similitudine, che costituiscono la coreografia indispensabile per l'architettura del pensiero poetico di Italia, di questo Italia.
Infatti, seppure l'insofferente impotenza dell'uomo, ancora una volta leopardianamente, ha indotto molti a vedere Italia in chiave troppo riduttiva e semplicistica, un'attenta lettura dei suoi versi che, tuttavia non dimentichiamolo, sono intrisi di sapienza filosofica, ci permette una disamina più rosea e veritiera. Forse, a parziale giustifica di quanti lo considerano un poeta 'difficile' o semplicemente leopardiano, vi può essere proprio un accentuato ermetismo di chiara matrice filosofica, riscontrabile soprattutto nelle opere precedenti.
In quest'ultimo lavoro del nostro, invece, dove alcuni hanno rilevato una qualche disomogeneità, legata per altro solo ai diversi momenti compositivi dei testi, si scorge un poeta meno incline ad alchimie ermetiche e ad empatie leopardiane, più prosastico e discorsivo; insomma impregnato di una luce nuova che, per quanto addolorata si spande, a tratti, con parole che risuonano a versi sciolti, liberi da gangli troppo cerebrali. Ne consegue una poesia che pur conservando un registro aulico e colto non fa dell'aspetto formale lo sfondo ideale del discorso poetico, ma piuttosto reale di una condizione precaria 'cosmica' dove 'per volere del Fato fra due nulla / c'è la parvenza: l'odio, l'amore / e tutto quel gran nulla sterminato / che disperatamente amiamo e odiamo' (Fatali aspettative), quel nulla di vita che proprio la luce, per doloroso contrasto, evidenzia.
Si pensi, allora, all'umbratile 'fratello muro, / sbrecciato, / arso nella calura' di una luce che pure francescanamente lo rianima a parvenza, comunque dolorosa. A tale unisona condizione è attanagliata ogni cosa e l'uomo in primis, se perfino il dolore che lo testimonia esistente nemmeno l'appartiene, ma 'È un prestito. Lo passerai ad altri' (Nemmeno il dolore).
Dunque, la luce. Poetica della luce. Topos e condizione nevralgica per comprendere appieno la poesia di questo Italia illuminato, oltre che ispirato. La luce, nel suo valore polisemantico, assurge a essenza, energia vitale che si fonde con la materia, come avverte il prefatore, e alla velocità della quale 'tutti gli eventi del cosmo sono come fotogrammi di una bobina in cui passato, presente e futuro vengono proiettati contemporaneamente, senza più principio né fine'.



All'uomo non rimane che abbrividire senza 'pietà per la carne spogliata / di Dio. È vita che marcisce, è un fremito / di niente / che dietro striscia di luce non lascia' (Come). Ancora la luce, come si vede, impalpabile, ma reale a rivelarci la nuda crudeltà della dimensione temporale, la quarta di cui accenna il prefatore, dove impavido l'uomo s'accetta mortale nella consapevolezza del divenire d'ogni cosa che sempre troppo tardi, con lo strascico disarmante di un 'sonno ormai vuoto di sogni' (Non muoverti), riesuma cenere di illusioni: 'La giovinezza era una barbarie con grazie d'odalisca. / Bisognerebbe rigirando le tintinnanti chiavi nella toppa, / ora che è notte e un po' di freddo appanna i vetri alle finestre, / devotamente sparire, cadere no, / sparire dal marciapiede. Nulla' (Bisognerebbe). Dunque, non cadere, ma sparire d'incanto dolcemente come fate o maghi di una bella favola dell'infanzia, insomma nella dimensione leopardiana del non-tempo, nell'insofferente nulla. E se è vano illudersi, anche perché 'Nessuno è venuto. L'attesa giace avvizzita / come una mano vecchia che si ritrae. / Che fai? Piangi? Ti rassegni? Imprechi?' (La conclusione), che almeno si faccia viva e 'venga allora presto, / oltre le tormentose / ore d'amore e d'odio, / oltre le lacerate, nebbiose certezze / venga nella lunare solitudine, dolce come un'amante silenziosa, / aspide d'oro, la pietosa morte' (Fatali aspettative).
Ma il poeta, però, in vece e per voce d'ogni uomo, è certo di essere 'già morto milioni di volte... / per acqua, per fuoco, per ferro, per fame in tuguri di pena / o alto su scudi di bronzo. / ... morto di tutte le morti possibili. / È.... stanco di morire e morire / e morire fra una nascita e l'altra' (Non voglio). Ma pur non volendo più questo, egli s'attarda incapace, dinanzi alla certezza d'esistere, di rispondere: 'Non posso risalire a ritroso / nel grembo d'acqua fecondata / ed estirpare la mia nascita, / non posso non essere stato. / E sono, terribile certezza. Ma poi? / Non so cosa risponderti. M'attardo / al tuo fianco pensieroso....' (Se muoio a poco a poco).
Allora, come il poeta 'in frenesia di stasi, /...mangiando parole e silenzio / Il mondo è un vecchio che non sa morire' (Il mondo è un vecchio), e può solo vergognarsi di durare chiedendo misericordia: 'Ed io per mia vergogna duro. / Misericordia' (Anche questo giorno), mentre il tempo si frantuma, passa, tracolla dentro giorni che s'attardano e finiscono. Perciò la noia di Italia, quella sorta d'insofferente impotenza dell'uomo che scopre perfino nella luce, come dicevamo, l'incapacità di vedere, discernere, capire con chiarezza, perché essa abbaglia dolendo.
E il poeta, che nella sua indicibile piccolezza cosmica ancora si chiede: 'Ma l'infinito, l'infinito come, / ingeneroso amante che ti forza, / come ghermirlo?' (Come), scopre di appartenere al dolore luminoso del nulla: 'io, estinta torcia, cristo inincarnato / uomo di fango, disperato, inutile, / a te urlo, inesistente padre, / misericordia' (Misericordia), e giammai a un Dio illusionista, ammaliante di bellezze che fa sfoggio e 'sperpero di luce... / ....con occhi di pavone...' e lascia insoluto il punto di domanda: 'È tutta qui, proscenio, attori, trama / la gloria di Colui che tutto move?' (Sperpero). Neppure un Dio salvifico può abbracciare il suo agnosticismo naturalistico, la sua fede panica, la sua luce-sete di verità, se è vero che egli è morto per sua colpa 'stremato dalle pagine / raziocinanti audaci / e dagli inferni d'uomini affossati / in minuscole tane' (Lo chiamavano Dio).
La luce, quindi, come un sottofondo triste e sempre presente, elemento fisico che contempla il metafisico, ecco che s'annuncia timida nelle 'campanule e trombe di fiori inebriate d'azzurro' che 'cantano, cantano, cantano e chiamano l'alba' per farsi giorno che 'gonfia le trombe bianche della luce' (Inutilità fraterne). Ma è anche l'esplosione del suo colore per antonomasia, 'quello che disfatto infebbra il cielo / intorno al sole pallido-languente /... Il giallo dico, il giallo che ci abbacina' (Il giallo).
E per finire, luce che da presagio d'amore, colma di attesa e speranza, diviene flash durevole, ricordo lampante, illusione, 'uno sguardo mi aperse una ferita / e vi depose il germe dell'amore. / Un luminoso brivido di fuoco / e non sapevo che la vita è un lago / di tumultuose immobili vicende... / La lampadina mezzo fulminata' che 'ancora spande una luce d'argento / nella memoria che non sa morire' (Inseminazione). Sempre è luce dolorosa di verità, dagli effetti inquietanti che, avvertendoci vivi, si manifesta, esplode, spruzza, secca, urta, brucia, ferisce ogni cosa, come 'una piaga che insanguina i muri' (Assenza), nonostante quando non sia di 'un sole indifferente alto nel cielo' (Esperimenti) è di 'un sole pietoso' (Ricorsi quotidiani) che ristora e 'getta in faccia spruzzi d'oro antico' (Tre vecchi) come una rugosa carezza consolatrice. Non può sfuggire o lasciare indifferenti la portata di tali effetti fisici che, scatenando visioni metafisiche, per mirabili ossimori, ci offrono un acquerello di sole insieme languido, se può liquefarsi in 'gocce di sole' (La promessa), e onnipotente, se urta in 'marosi di luce' contro 'il pipistrello che svolazza impazzito' (Apologo).
Per concludere, quindi, cos'altro dire dell'ennesima prodezza poetica di Italia, che nella novella luce del mondo ci annuncia, per guizzi lirici di calibrata armonia fra pensiero e parola, fra logos e verbo, l'addolorata illuminazione dell'esistenza?

Lucio Toma

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