Avesse deciso un’onorevole ritirata alcune settimane fa, quando l’Italia intera glie lo chiedeva per carità di patria, avrebbe evitato la più che imbarazzante situazione che in queste ore si è prospettata e che ha fatto precipitare gli eventi.
Essere stato percepito come il padrino, lo sponsor o il pigmalione di un plurinquisito, che tra i capi d’imputazione conta l’aggiotaggio e l’associazione a delinquere, non è granché gratificante per un Governatore della Banca d’Italia. Oggi si capisce meglio la precauzione di far usare a Fiorani l’ingresso di servizio di via dei Serpenti, evitandogli il portone centrale di via Nazionale.
E c’è quasi da essere rinfrancati dal venir meno del potere di firma sui biglietti di moneta corrente, che con l’arrivo dell’euro è stato affidato al solo Governatore della Banca Centrale Europea.
Un velo decisamente grigio cala su Palazzo Koch, perché il governatore Fazio, certo, non è rimasto solo nella sua ostinata resistenza ad assumere quella decisione dignitosa, da molti auspicata e da più parti ripetutamente richiesta e sollecitata.
Se non fossimo a fine legislatura, ci sarebbe da chiedere a gran voce il ritorno con onore del ministro Siniscalco (unico ad aver deciso di far ricorso alle dimissioni) e di bocciare, ancora una volta, il non troppo severo ministro Tremonti, la cui fermezza col governatore ha fatto tanto fumo, senza arrostire alcunché.
Così come, dopo aver ascoltato il sermone cardinalizio sull’invadenza delle intercettazioni telefoniche, saremmo ansiosi di ascoltare una dissertazione teologica su etica e morale per i credenti e gli equilibri economico-politici del Paese.
E’ devastante riscontrare come l’avvento burlosconiano, in pochi anni, abbia sostituito il ricordo orgoglioso di figure come De Gasperi, Spadolini o Malagodi con l’odierna macchietta dei Castelli, Calderoli o Miccichè. E come, nello stesso periodo, il cenacolo dei Cuccia, Agnelli e Pirelli sia stato saccheggiato dai moderni rampanti di quartiere come Fiorani, Ricucci o Coppola.
E’ ovvio, a questo punto, che per stare ai tempi, suo malgrado, il governatore Fazio diventa la proiezione in tema di ben altri predecessori quali Donato Menichella, Guido Carli e lo stesso Carlo Azeglio Ciampi.
Non crediamo che nella Summa theologica di Tommaso d’Aquino sia contemplata una pena al fervente osservante, per l’annebbiamento delle facoltà visive nel discernere amicizie non proprio da oratorio. Ma siamo certi che non bisogna ricorrere a profondi pensatori, per capire quando quelle amicizie diventano talmente intime da superare la sottile frontiera del pudore, per poi sfociare in vera e propria complicità.
L’eremo di Alvito, a questo punto, potrebbe essere l’habitus naturale per una chiara sindèresi e un’intensa verifica di quanto “a posto” possa considerarsi una coscienza.